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"Signor questore di Frosinone non è stato possibile conoscere il luogo ove gli ebrei, qui internati, furono deportati". Così scriveva il sindaco di San Donato Val di Cornino nel 1945, a poco meno di un anno dalla conclusione della vicenda dei ventotto ebrei stranieri che, a partire dall'agosto del 1940, erano stati internati dal regime fascista nel paese in provincia di Frosinone, al confine con l'Abruzzo. Sedici i deportati, di cui dodici deceduti nei lager nazisti, salvi gli altri grazie anche, in vari casi, all'aiuto ricevuto dagli abitanti del paese. Il lavoro di Anna Pizzuti ricompone le storie dei singoli e di intere famiglie che dal 1940 al 1944 entrarono, sia pure forzatamente, nella vita della piccola comunità di San Donato. Paradossalmente, la testimonianza più concreta di queste vite senza diritti, appese a un foglio, a un timbro, a una firma di un funzionario senza volto, ci viene restituita proprio dai documenti conservati negli archivi della burocrazia di Stato. Su questa documentazione si concentra il libro, e alla fine, attraverso un paziente lavoro di ricostruzione, la burocrazia stessa, da meccanismo stritolante, si trasforma in involontario e incancellabile strumento di memoria di ciò che è stato, nonostante le distruzioni o gli occultamenti. Anzi diventa la dimostrazione, tragicamente innegabile, che "questo è stato".